Avere paura può essere anche un’arte, che si impara a gestire . La poliedrica Paola Leye – Grandi , nella sua raccolta di frammenti lirici sembra esprimerci in sostanza questa perla di saggezza. Nella consapevolezza della transitorietà terrena Paola va alla ricerca cesellata e disperata ma piena di amore per le persone e gli elementi a sé circostanti, del lampo concreto da cui il senso profondo delle cose “accorre” simbolisticamente a salvarci . La poesia di Paola si fonde in un tutt’uno con le sue descrizioni, quasi non c’è soluzione di continuità tra gli elementi e le parole , specialmente quando si evocano corpo e terra da cui non si vuole avere scampo perché di quello siamo fatti e a quello sempre si ritorna, sembra dirci Paola fra le righe . Nella continua diatriba tra carne e ossa, tra cui sembra quasi dimenarsi il nostro istinto primordiale, il segno che possiamo lasciare alla madre Natura è affidabile ai due sensi principali come la vista e l’udito: Le ossa di Paola si ordinano, nell’ombra della notte, visivamente in “ideogrammi” e acusticamente nella trama sonora della musica sprigionata dalle ossa, quasi uno strumento percussivo che , come nel “Somnium Scipionis” di Cicerone, ci può forse riavvicinare pacificamente all’universo di cui facciamo parte. Del resto una custode soprannaturale c’è anche in questo caso: E’ la Dea Baubo, come spiegato nelle note finali, una dea antecedente alla mitologia greca , dea dell’”osceno, cioè di ciò che non può essere messo in mostra , che non può essere visto, dell’occulto”. E sotto la protezione di Baubo, Paola scava e scarnifica fino all’osso (letteralmente, potremmo dire) , il mistero del nostro essere per cui però vale sempre la regola della trasformazione e non della distruzione. Paola usa spesso i colori del buio, all’ombra del quale ,come direbbe Céline, accade tutto ciò che è importante. Anche due estremi come Humus e Diamante (presenti nel brano “Ogni notte”) fanno parte dell’eterna dialettica dove ci si salva e ci si risveglia ogni mattina “nuovi”.
Ogni scoperta di se stessi però ha bisogno di cura, di amore, e di segretezza…e allora la Caverna è il luogo di mistero e conoscenza per antonomasia dove Paola trova se stessa, forse un suo doppio e “neutralizza” gli esseri spaventosi come i lupi, il cui aspetto terrifico è forse però l’altra faccia di una conoscenza di se stessi tanto tenuta quanto anelata. E Paola aggiunge la sua personale “ciliegina sulla torta” con una serie di fotografie che la ritraggono in pose diverse e in compagnia di un teschio quasi a complemento dinamico della celebrazione del corpo come bene prezioso o semplice contenitore di un’anima che fatica a trattenersi in un luogo e dunque ha necessità di “traboccare” anche visivamente; non a caso è nominata più volte la danza come proiezione vitale delle preziose parole finemente ricercate e con cura scelte dall’artista
E la morte? L’appuntamento ineluttabile per tutti? A chi dice che sia “sinistra”, Paola risponde con un prodigio linguistico affermando che essa è “A sinistra”, “un passo indietro, educatamente a chiudere le porte”. Forse uno dei messaggi più criptici dell’autrice ma intuitivamente si può vedere il rispetto nei confronti dell’inevitabile, come rispettosa è l’intera operazione di Paola che sa nella sua poetica trasformare le ossa in flauti o in Balafon e colorare di fluttuante musicalità l’essere profondo di cui ognuno di noi è fatto. E l’arte di avere paura di cui si diceva all’inizio può essere una compagna di viaggio arricchente grazie alla quale se si è curiosi, assetati , fiduciosi di se stessi, “in cima all’orizzonte vedremo il fondo del pozzo”, in un gioco di continui capovolgimenti di prospettive cui solo l’intuizione sensibile, più di tanto cervello, può dare una risposta di pace e di scoperta di se stessi.
(L.M.)