“Per sottrazione”. Nella vita di un individuo può facilmente arrivare un punto in cui non ci si preoccupa più di “aggiungere” (oggetti, conoscenze, amicizie o altro), ma casomai di “togliere”. Forse perché ci si rende conto che è più importante far “fruttare” quello che c’è e che molto di quanto si è sin lì accumulato risulta ormai superfluo. Ed allora ben venga, ben càpiti tra le mani, un volume tanto essenziale (anche visivamente) quanto pieno di contenitori da riempire con il nostro “essere” più profondo. Il “Taccuino per un luogo” della pedagogista milanese Monica Guerra ci invita, sin dalla copertina, alla “ricerca quotidiana” , per dirla in breve, di CHI DAVVERO ognuno di noi è. Con una precisa indicazione, però: rispettando l’ambiente, dunque mantenendo vigile la propria coscienza ecologica nell’ottica di riconoscere che lo spazio in cui ci muoviamo e la libertà di realizzare i nostri progetti sono due facce della stessa medaglia. Anche perché il “LUOGO”, il “posto” è l’oggetto , come da titolo, dell’indagine. E, come scrive Monica , “quando un luogo ha significato, diventa più importante, lo amiamo di più, lo proteggiamo di più”. Conoscere, dunque , è proteggere: è la prima importante riflessione cui l’autrice ci invita. Ed è anche fare memoria, lasciare tracce, in poche parole “dare un senso” al nostro transito.
Salta all’occhio innanzitutto la forma di scrittura: molte pagine (con due soli colori irregolarmente alternati: Bianco(colore della gamma delle intere possibilità degli altri colori) e verde (colore dell’ecologia -e della speranza-) sono vuote o con poche parole stampate: è il ritmo dei pensieri che viene suggerito da come vengono “spezzate” le frasi , la dimensione dei caratteri font, la posizione grafica di una frase rispetto ad un’altra. Sono per lo più INVITI: a riflettere , a capire cosa un luogo rappresenta, con chi condividere tali riflessioni. Ecco dunque la natura essenzialmente attiva del testo, che però non pare voler essere un “eserciziario”, o non solo: può essere casomai un’occasione per un recupero di una dimensione di vita essenziale che molti di noi forse hanno smarrito, paradossalmente, perché troppo occupati ad “affermare se stessi”. Ad un Ego spropositato equivale, diremmo fra le righe, la perdita del proprio IO. Ad una progressiva diminuzione dell’Ego, ritorna un IO che non è fatto “per stare solo”: esiste in quanto parte di un gruppo, qualunque esso sia, all’interno e in relazione al quale può poi meglio definire se stesso.
Non diremmo , tuttavia, con l’autrice, che “Ogni cosa comincia (sempre) prima, nell’intenzione, nel desiderio, nell’accensione dello sguardo”. A volte la “cosa”, può cominciare prima che noi ce ne accorgiamo e dunque precedere l’intenzione , l’impulso fisico , di cui possiamo poi accorgerci e, chissà , poi renderla unica e irripetibile (o anche ripetibile) in corso d’ opera. Certamente , nondimeno, il valore dell’attesa, della preparazione, giustamente sono indicati come dimensioni importanti per la migliore esperienza del viaggio che intraprendiamo per “conoscere” e poi forse “diventare” il nostro posto del cuore ( o diventarne parte ).
Ma il punto più interessante è quando si propone di immaginare il luogo come osservato da una persona che non siamo noi: Come lo osserverebbe un musicista, un fotografo, un informatico , una giornalista, un elettricista? Qua il testo può tradursi anche in un trattato sulla recitazione teatrale: seguendo la dinamica del viaggio dentro il personaggio, ci possiamo “astrarre” ed “entrare” negli occhi di qualcuno che non siamo noi e sperimentare (altra parola chiave del testo) un diverso punto di vista, andiamo ad intraprendere un “primo viaggio” e poi un nuovo viaggio cercando ogni volta di “captare” elementi e storie che la prima volta non avevamo “preso”. E poi, ancora rallentando il ritmo della scrittura…immaginiamo un luogo fra 10, 100,1000 anni(ogni pagina ha la sua cifra numerica dedicata), per dilatare il tempo e forse, in un certo senso, anche “vincere la morte”. Noi come corpo, ce ne andiamo. I luoghi, restano. E assumono diverse vite e sembianze in quanto ognuno le osserva in modo diverso.
Un libro per tutti, senza limiti di età ,perché davvero la scoperta del mondo non è mai terminata e fino all’ultimo respiro, ciascuno ha il diritto (e forse il dovere) di rinnovare il proprio sguardo sul mondo , “tutti quanti in modo di verso e ognuno con i suoi mezzi”, come direbbe Lucio Dalla.
L.M.