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“COME UN SASSO NEL LAGO” di Maria Fedele (“il cilegio”,2014)

Copertina "Come un sasso nel lago" di Maria Fedele

Copertina “Come un sasso nel lago” di Maria Fedele

come_un_sasso_nel_lagoSCELTA_BIANCA

“Dove abita l’onesta’?” o meglio “quale luogo E’ ABITATO dall’onesta’?”. E’ questa la domanda che serpeggia sottilmente e “subdolamente” nel romanzo della scrittrice Maria Fedele “Come un sasso nel lago”. Dietro una fabula apparentemente costruita con ingredienti abbastanza consueti in realtà è presente fra le righe una ricerca spietata e affannosa della propria identità intrinsecabilmente legata agli affetti che circondano la protagonista, quasi tutti tratteggiati con caratteristiche, per un verso o per l’altro, problematiche. La vicenda è quella di Claudia (forse alter ego dell’autrice), donna separata dal marito Giorgio e con a carico due figlie, che sta cercando di vivere una nuova vita divisa tra il lavoro, la sua famiglia e le amicizie. A farle da contraltare la presenza della Zia Rosetta, affetta da problemi psichici, che ritiene di essere destinata alla missione di salvare le vite, da quando da giovane di fatto era stata salvatrice di un bambino abbandonato che aveva chiamato Giacomo e che poi si era vista sottrarre dai servizi sociali. La separazione problematica dal marito Giorgio, banale uomo avventuriero e “piacione” che aveva a suo tempo conquistato Claudia forse più per la sua apparenza e per le sue facolta’ prosaiche, viene turbata dalla comparsa (o meglio “ricomparsa”) di Gaetano, conosciuto da Claudia anni addietro come insegnante di canto di sua figlia e ora maestro di yoga. E’ qui che l’intreccio si complica e si infittisce…in un continuo gioco di rimandi di memoria e di accadimenti come “scherzi del destino” che porta Claudia e Gaetano a reincontrarsi e a separarsi continuamente nella ricerca della definizione di un rapporto non chiaro ma anelato fra i due.
L’arte come “catarsi” è l’elemento vincente della narrazione: l’autrice recupera le sue esperienze con le discipline artistiche e le “proietta” all’interno del racconto come elementi centrali motori dello sviluppo della vicenda: vedi ad esempio la Voce di Gaetano che esce col suo canto dal cd, come pure il canto che torna come elemento fondante nel racconto del viaggio in Africa che Claudia ritrova descritto nel suo diario, insieme alla danza folkloristica come disciplina che UNISCE, unitamente all’arte del dialogo, che invece “da noi italiani solitamente è scarso” come annota Claudia. Poi c’è La voce della stessa Zia Rosetta che terrebbe testa alle voci africane. E infine la multidisciplinarietà delle arti varie (pittura, poesia, musica, recitazione) dove l’Arte celebra il suo un po’ autoreferenziale trionfo nella festa organizzata da Claudia per la sua amica artista. Il corpo e la voce svolgono dunque una funzione di “rivelazione” anche quando ci si reincontra grazie alla disciplina dello yoga.
I momenti migliori della narrazione sono forse da ritrovare fra le righe e fra i concetti, oltre all’arte è evidente la funzionalità del CORPO e dello spazio da esso ABITATO (vocabolo che ritorna anche nel titolo di uno dei capitoli “la donna abitata”): l’”abitare” come ricerca di un appiglio e della propria onestà reciproca fra esseri umani può forse essere tanto la causa che il fine ultimo della ricerca e della risoluzione dei rapporti umani che stentano a trovare una precisa definizione. Purtroppo la vera soluzione sembra essere una sorta di “salto generazionale”, se la vera bontà pura e riconoscibile è quella che lega una donna a un figlio adottato e solo successivamente rivisto fugacemente dopo tanti anni, e invece quella tra madre e due figlie “vere” (Claudia e le sue figlie) è affetto autentico ma più di routine, senza nulla di particolarmente spumeggiante, e non a caso Claudia mostra più empatia con la Zia (sua controparte “scomoda” da cui pure deve difendersi perché le ricorda le parti di sé che lei tenderebbe più a respingere, e nello stesso tempo potenzialmente migliori).
Un po’ penalizzanti invece sono le parti più descrittive come quella del diario in Africa, eccessivamente lunga, o le parti sulla descrizione di sensazioni interne riguardo alla separazione dal marito; nelle parti più razionali dove si medita sulla “sincerità reciproca del detto e del non detto“ o del “compromesso per non mentire…” l’autrice rivela comunque il suo lato più raziocinante che determina una sorta di “antiteatralità “ di fondo nel senso del “ritmo” artistico del testo. Questa “antiteatralità” però viene riscattata nei momenti della descrizione della pratica dello yoga che invita il lettore ad essere accompagnato dal respiro che può fargli “prendere fiato” necessario per capire e soffermarsi, atto che però l’autrice sembra vedere respinto dalle persone che le stanno intorno e che non dicono “Neanche una parola sul passato”… Ma serve il passato per il futuro? Maria (Claudia) sembra “urlarci” di sì!
Il momento più sublime del testo è il DIALOGO CON LA MAGNOLIA: momento forse centrale del racconto: in un fittizio dialogo con questa pianta Claudia “smuove” i suoi dubbi e le sue domande irrisolte, ma la frase fatale è quella della pianta che sostiene di CAPIRE L’INFELICITA’ di Claudia da come ella si “muove nello spazio senza occuparlo (ossia “Abitarlo”) veramente” (ossia “vincendo” sull’antiteatralità di Claudia/Maria): ma se si è abitati, la “fase abitata” è essere abitati dalla paura e forse dalla pazzia in parallelo con la zia Rosetta (che parlava da sola e sentiva le Voci a sua volta):arte e natura dunque, rispecchiate nella pianta.
Alla fine però Claudia vince. Vince con il trionfo dell’arte. Vince paradossalmente con la partenza della Zia che amava, ma rispetto alla quale Claudia voleva essere migliore e ce la fa, con l’allontanamento definitivo di Giorgio (persona banale e negativa). Vince vivendo una situazione prosaica e imbarazzante con Gaetano: trovarsi in mezzo al vomito tra il water e il bidet, ma forse proprio per questo più vera e autentica. Claudia vince con la sua autenticità di donna sensibile e intelligente e la forza “scomoda” di saper tirare i “sassi nel lago” che emanando i cerchi concentrici dell’empatia dalla quale ora accetta di essere investita accettando il mondo e se stessa.

www.edizioniilciliegio.com
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(L. M. 9 maggio 2015)

Questo articolo è stato pubblicato in OCCHIO CRITICO il 9 maggio 2015. Modifica