ROBERTO MANFREDI – La musica del futuro.
“La paura del domani è sbagliata e tu lo sai” cantava Eugenio Finardi negli anni 70. Oggi che rispetto ad allora un “domani” è arrivato, ci si domanda se c’era e se c’è ancora da aver paura e di cosa, poi. Di una guerra? Di un progresso inarrestabile? Di qualcosa di subdolo e pervasivo che neppure si riesce a definire con chiarezza? Roberto Manfredi, produttore discografico e divulgatore, propone la sua visuale sull’impatto che l’Intelligenza artificiale (il “tema del momento”, potremmo dire) sta avendo e avrà sul modo di fare musica. Manfredi sviscera gli aspetti della questione ragionando sulle potenzialità degli strumenti che si sono succeduti nel corso dei decenni per fare musica. Si guarda al passato e al futuro dei concerti live, della riproduzione della musica registrata , della radio e persino dei ruoli che hanno avuto e potrebbero non più avere gli esseri umani nell’arte musicale, canora e di conduzione dei programmi radiotelevisivi e nel web.
Manfredi non fa mistero della sua visione globalmente ottimistica dello strumento che oggi definiamo Intelligenza artificiale (ma che in realtà si presenta come ultima e più avanzata fase di un processo già in atto da decenni); enuclea i vantaggi del suo utilizzo sottolineando l’aspetto intrinseco della sua “laicità” (ma sull’utilizzo di questo termine c’è sempre molta confusione; non sarebbe più opportuno parlare di “democrazia”?) pur riconoscendo che le macchine restano pur sempre elementi “senza un’anima”. Si percepisce fra le righe anche l’inquietante panorama che può fornire il fatto di – come si dice -“riprodurre la nostra memoria” , quando l’AI non solo crea ologrammi che assurgono al ruolo di vere e proprie rock star virtuali, ma addirittura riporta in vita divi defunti del passato o comunque gruppi disciolti (si veda l’esempio della riunione virtuale degli Abba o di concerti con l’ologramma di Elvis Presley). Dove si potrebbe andare a parare dunque?: Un disperato tentativo di “vincere la morte” attraverso il resuscitare virtualmente i “miti” scomparsi ? Un puro divertissement di poco differente da un film biografico musicale? O cosa altro? Purtroppo è vero che “il passato tira più del presente” e in questo lo stesso Manfredi lamenta come di ciò sia una spia il fatto che i nuovi personaggi della musica siano “condannati a replicare” i successi di cantanti del passato per il fatto che il “nuovo” non interessa a nessuno. Ma è altrettanto vero che qui ciò che è in gioco è la modifica della dimensione delle nostre “percezioni sensoriali connesse alla musica”: Con una pervasività come quella della moderna tecnologia e considerata la tendenziale “pigrizia” dell’essere umano, il futuro (prossimo) sembra ormai segnato. La possibilità di clonare le voci (non solo per la musica ma anche per il mondo del cinema e del doppiaggio, non a caso attualmente in rivolta) e le persone, vive e morte, sta forse per rendere l’umanità quasi “superflua”?
Il dibattito si apre ed è destinato a restare aperto. Il lettore è dunque invitato e anzi stimolato a farsi la sua propria opinione tra una panoramica dei “Guru dell’Universo artificiale” e una carrellata di artisti “generativi”. In generale, particolare interesse destano alcune informazioni come la storia della invenzione del sistema acustico olofonico negli anni ‘80 da parte dei fratelli Umberto e Maurizio Maggi. Forse si poteva fare a meno di dare a spazio ad alcuni ipertrofici “ego” di gente che sembra più preoccupata di sottolineare il proprio “essere artista” più che a dare spunti di riflessione sulla funzione della nuova frontiera tecnologica musicale. Il pregio della scelta di dare più punti di vista differenti restituisce la libertà al lettore di farsi un’opinione personalizzata dopo aver esaminato la questione nelle sue più complete sfaccettature. Del resto lo stesso Manfredi, nella parte a se stesso dedicata tra gli esponenti delle “generazioni generative”, afferma che noi “non siamo macchine” ma allo stesso tempo prevede che a parte forse in Italia, il “business della musica sarà totalmente artificiale”. A chi scrive pare assai rilevante l’intervento del giornalista Gigi Beltrame il cui fulcro si può ragionevolmente riassumere nella frase “Il pericolo più grande è quello di affidarsi ciecamente all’AI e cedere (ad essa) le nostre responsabilità”
La difficoltà di porsi con mente “integra” di fronte a uno dei temi del momento forse non concede la possibilità di dare un giudizio “definitivo” su un’opera pur pregevole e approfondita come questa. I grandi interrogativi che non sono affatto nuovi ma ciclicamente si pongono, forse addirittura a partire dalla rivoluzione industriale vanno sempre più verso, come suggerirebbe Umberto Galimberti, “cosa la tecnica può arrivare a fare di noi” piuttosto che noi della tecnica. Quasi inevitabile ormai chiedersi: anche la musica verrà totalmente automatizzata al punto di non aver più bisogno/ senso / necessità anche solo di scrivere una canzone , un brano musicale, un testo poetico? Al momento la risposta più plausibile verte ancora sull’uso che ne sapremo usare (anche se il citato Galimberti avrebbe qualcosa da obiettare) e dunque un semplice “DIPENDE DA NOI”. Nanni Moretti ribatterebbe: “E se dipende da noi è sicuro che non ce la faremo”. Ma noi controproponiamo : Cosa intendiamo per “NOI”? La massa o un “io, tu , lui” di chi ha sensibilità e competenza? Stiamo a vedere…