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“CHI HA PAURA DEI GRECI E DEI ROMANI?” – Maurizio Bettini (ed.Einaudi, 2024)

Si fa un gran parlare di “Radici”, di  “origini”, della  “nostra cultura” contrapposta a quella di “Altri”. E chiose comuni come “Prima noi”, “prima i nostri” , “prima la nostra cultura” e via discorrendo, semplificano le soluzioni per le frustrazioni quotidiane di chi le deve scaricare su “altri” e mai su se stesso. Già, ma da dove deriva cotale atteggiamento? E cosa rispondere a chi ovviamente respinge le accuse di razzismo magari definendosi semplicemente “culturalista”?

Ecco allora che può essere utile uno sguardo alle origini e alle sorgenti della civiltà occidentale . Chi ne ha paura? Si chiede Maurizio Bettini, scrittore e classicista. Il discorso si estende al punto da non limitarsi a ribadire l’importanza delle nostre origini storiche e  culturali , ma di diventare una vera e propria analisi sociolinguistica e di fatto politica.

Bettini opera un procedimento terminologico che parte dalla particella greca “Dià”, cioè “attraverso” e dalla parola “Differenza”, che viene definita come la parola “più difficile da pronunciare” da un’insegnante la cui intervista radiofonica viene riportata in brevi cenni. Già Cicerone riportava l’insidia della “differenza” come potenzialmente minacciosa fra uomini . Ma il problema centrale, sembra dirci Bettini , è l’uso distorto che si fa ormai di parole e di modalità di pensiero per piegarle a uso e consumo di vantaggi (o presunti tali) di carattere meramente utilitaristico. “Identità” e “Differenza” non dunque come occasione di confronto, ma di separazione e barriera. Attenzione però: contrapponendosi in maniera netta a questa “smania divisiva” si rischia di cadere nell’estremo opposto. E’ il caso della cosiddetta “Cancel culture”, che parte dai giorni nostri per arrivare addirittura agli albori della civiltà. Si prospetta dunque, anche da parte di titolari cattedratici, l’eventualità di cancellare parte di testi letterari storici perché ritenuti “sessisti” ; gli apici sono poi toccati con forme di razzismo, per così dire “a rovescio”, come nel caso della traduzione della poesia di Amanda Gorman letta per l’insediamento di Joe Biden: Non si può tradurla in olandese o in catalano perché non esisterebbe un traduttore “geneticamente idoneo”!!!

Per non parlare del caso del professor Dan-el Padilla Peralta, baccalaureato in lettere classiche che individua nella cultura classica, campo suo, la “,matrice di una cultura schiavista , razzista, suprematista” etc.etc. da cui prendere le distanze. E dunque ,per risolvere cotali problematiche , bisogna ricorrere all “Inclusione” a tutti i costi. In due parole, se studiamo i greci e i romani bisogna studiare anche gli egizi, i mediorientali , gli africani NE’ PIU’ NE ‘ MENO che tutte le altre civiltà. E come la mettiamo poi col fatto che le ore di insegnamento ,di studio (e più banalmente le 24 ore di una giornata) a disposizione per umani limiti…sono quello che sono? Mah!

A tali perversioni culturali, che portano a dubitare delle nostre civiltà originarie da sempre studiate a scuola in quanto seminali di maschilismo e di sentimenti razzisti di superiorità civile o altro, Bettini contrappone la saggia (apparentemente) soluzione del “Dialogo” fra persone e popoli. Con riferimento alla particella “dià” ,sopra citata, l’etimologia greca può tornarci utile e d’aiuto nella costruzione, forse, di una rinnovata civiltà.Da una domanda ciceroniana sulla possibilità di prevedere il futuro, emerge un dialogo (a questo punto parola chiave) in cui si sottolinea la necessità di rispettarsi reciprocamente anche tra mentalità opposte  (Credenti e non credenti / mistici e scienziati): col dialogo si raggiunge la conoscenza delle cose . Sul di esso insiste Bettini come soluzione per la paura delle differenze che porta anche all’eccesso di “zelo”, paradossalmente foriero di effetti complementari a quelli che si dice di voler combattere.

 

Purtroppo Bettini pecca forse di ingenuità non accorgendosi che anche la parola “Dialogo” negli ultimi anni ha assunto un formato “standard” come tante altre ed è entrata a far parte di quelle parole come “resilienza”, “libertà”, “democrazia”, talmente abusate da aver perso ormai efficacia, senso e significato. “Dialogo” in che senso”? verrebbe da chiedersi. Anche perché non è affatto detto che esso sia risolutivo. Non a caso spesso si dice “Dialogo fra sordi”, che è quello che non risolve le guerre ma anzi le alimenta ulteriormente.

Forse l’unica soluzione, sembra emergere da questa comunque preziosa lettura, è il vecchio e caro BUON SENSO. Ognuno di noi è chiamato in primo luogo e ruolo a coltivare la curiosità in ogni campo con rispetto e cognizione di causa, accettando il “confronto” (più che il “dialogo”) con l’Altro da sé in senso lato, senza illudersi di poter mettere d’accordo tutti e invitando gli altri di differente età, sesso , cultura , opinioni politiche a fare altrettanto. Solo così forse possiamo recuperare gli stimoli umani che tutte le discipline , (anche quella della letteratura classica di cui  qualcuno ,per convenienza politica o per perversione egotica è arrivato ad auspicare persino l’abolizione) , ci possono fornire, in ogni epoca, ogni giorno. (L.M.)

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