E’ sempre difficile trovare le parole giuste per descrivere le sensazioni dopo una lettura di un testo dove si intrecciano più piani narrativi ,dal giallo alla storia, dalla musica alla psicologia. La paura maggiore è quella, banale ma fatale, di non aver compreso. Di aver smarrito la traiettoria, di non sapere a cosa dare la priorità sul piano del significato. Del resto forse è proprio questa la sfida che un’autrice come Cinzia Romagnoli ci lancia nel suo “BORGO LENIN”, ambiziosa ricostruzione storico – poliziesca sullo sfondo della pianura padana che dai giorni nostri rimanda ad un passato di lotte e di “rinascita” .
I due principali piani narrativi sono l’indagine da parte del poliziotto Fabio Sinigaglia sulla morte di un pensionato Bolognese e il passato cui questa rimanda, fatto di miserie e di guerra, di invasioni e di semplicità , come da “copione”, potremmo dire, nei borghi umili della pianura padana nella seconda guerra mondiale. Il poliziotto Sinigaglia è uno dei tanti professionisti, poco entusiasta della vita e della professione, ma ligio al dovere . I ragazzi della vicenda che fa da contraltare sul piano narrativo (in particolare i protagonisti Libero, Taramòt e Culodritto) sono i bambini attraverso i cui occhi la guerra e i suoi contorni assumono le sembianze quasi di un film , di un mondo pericoloso ma a suo modo attraente, da guardare di nascosto e dove intervenire al momento giusto, con rischi ma anche con le ambizioni di “uomini in erba”. Sono proprio i loro occhi ,spesso rivelatori, a “leggere i segreti” nascosti , nonostante le circostanze belliche sembrino sminuire quei “particolari. Libero, uno dei tre, osserva il paesaggio con la nebbia di novembre , i pioppi…dove trova la metafora della “rappresaglia” e di tutte le faccende degli adulti: ecco qui il primo elemento poetico – descrittivo che ci fa entrare in empatia con i protagonisti. E’ a quel passato che la morte di questo pensionato apparentemente insignificante rimanda, proprio a causa di un nominativo su un biglietto da lui lasciato; Sinigaglia e i suoi colleghi nella loro indagine su quel nominativo , trovano contatti cui risalire , per arrivare al passato sopra descritto ; da qui si dipanano i continui rimandi a passato e presente per arrivare con una vicenda piuttosto intricata, alla risoluzione del “giallo” iniziale.
Al di là della “fabula” in sé, è interessante vedere come la narrazione parta con periodi rapidi ,spezzati che fanno da contraltare con il tema della morte che è quello essenziale che ci si presenta davanti, con il suo attacco narrativo “La morte non ha nulla di nobile”. E il richiamo alla “Tabula Rasa” di Arvo Part ne è il contraltare musicale ,come ogni capitolo del resto avrà un riferimento di tal genere. I gesti semplici e annoiati del morituro espletano il rapido “precipitare” della vita che a un altro mondo poi conduce. Ben altro tipo di frenesia ci attende dopo ,infatti. E sarà proprio quello che fa da sfondo alla “guerra personale” dei ragazzi che, pur nella dura condizione in cui vivono , costituirà la loro crescita . Difficile a maggior ragione perché gli adulti, coloro che dovrebbero insegnarci a guardare e a vivere il mondo, impongono di “non dire niente di quello che i grandi dicono”, per ovvia paura del nemico germanico, ma cosa che nei ragazzi genere confusione. Ad esempio i giovani uomini in erba si domandano cosa sarà mai questo “estremismo”? Forse una malattia? Con questi elementi grotteschi si stempera la drammaticità di fondo della narrazione.
Quando invece la tragedia bellica da tregua, ecco che il calore del focolare domestico è arricchito dal potere del racconto: Il potere narrativo del forestiero giunto in paese, colora di mistero e di fascino le sere dei ragazzi con le storie narrate sulle basi delle costellazioni, e poi regala a libero l’Odissea di Omero, raccomandandogli di leggerlo e facendo leva sulla similitudine fra “LIBRO” e “LIBERO”, ovvero il suo nome. Ecco: il potere della parola narrata e scritta può trionfare su tutto, su un’umanità adulta ma in realtà ancora troppo primitiva per poter liberarsi da quella smania egoica e irrisolta che porta poi alla guerra ; Troviamo dunque il Racconto come recupero dell’umiltà e della primigenìa,che sono elementi chiave per “tornare” a noi. Del resto , per parte sua anche l’umile poliziotto Sinigaglia trova la sua dimensione in una dimessa e grigia solitudine che però è stemperata da alcune considerazioni semplici ma efficaci. Nella sua zia accudente e a modo suo presente , che gli fa trovare sempre piatti squisiti, considera che “non siamo soli finché qualcuno cucina per noi”. Ecco: a modo suo ognuno è in situazioni di precarietà ,a vari livelli: ma è nelle piccole cose che colpiscono direttamente i “sensi” che ognuno troverà il suo riscatto. Del resto , come indica l’autrice “Crescere è un po come essere sempre altrove”, in una instancabile ricerca di verità, personale ed universale. Anche se le “buone cause non sorridono mai”, come ha a constatare il poliziotto e allora sta a noi scavare nel tufo della realtà perché magari anche la guerra di miseria sangue e morte, possa trasformarsi in una “guerra positiva” e possiamo positivamente ritrovarci come degli esploratori, che combattono una guerra di ricerca personale come il “Giapponese nella giungla” ,ovvero colui che non crede che sia finita la guerra anche quando questa è cessata per il resto del mondo.
(L.M.)