“Il mezzo è l’aria” è il titolo di un volume di Enrico Ghezzi, uscito una trentina di anni fa. E’ attraverso l’aria che si propagano il suono , l’odore, persino i raggi del sole. Forse tutte le sinestesie del mondo che nell’aria sono rintracciabili non sarebbero tecnicamente sufficienti per captare le sensazioni e le immagini che si sprigionano da un romanzo così complesso e polisemico come “Banda Cittadina” del prolifico Gianluca Mercadante. E’ una storia di relazioni irrisolte , competizione, passioni artistiche e slanci di gioventù mai totalmente “digeriti”, che ci assale con violenza per costringerci a fare i conti con quanto nelle nostre vite crediamo di aver conquistato ma i “contratti sociali” col prossimo possono far crollare da un momento all’altro. Una storia dove non è neppure chiaro dove “stiamo di casa” se lo scopo è “tornarci”, come la frase conclusiva del testo pare lasciare intuire. Una storia che non si sa neppure da che parte prendere e cominciare , tanti e tali sono gli spunti che ogni singolo personaggio e passaggio narrativo fanno emergere a ogni “lacerazione” nel telo della trama “diretta” e contorta allo stesso tempo.
L’ambientazione iniziale è quella della pianura emiliana dove il protagonista Filippo, meccanico di professione, si è trasferito da tempo dopo alcune vicissitudini di coppia andate male. Un invito a partecipare a una gara nella sua città originaria del Piemonte, fa tornare a galla il suo passato: E’ la “Caccia all’antenna”, una gara fra radioamatori , campo in cui Filippo, all’inizio degli anni 90, si era distinto col nome in codice di Alan 68. Dopo qualche titubanza, viene convinto a partecipare dalla sua amica Elena, una prostituta da lui frequentata come “amica” ma la cui presenza si rivelerà fondamentale. E’ un’occasione per Filippo, per rivisitare il suo passato, dove ritroviamo la prima moglie, il figlio Nicola con cui non ha mai avuto un rapporto chiaro e sereno, un’altra compagna e poi diversi amici ognuno dei quali assume ruoli magari piccoli ma essenziali nella vita di Filippo. Come finirà la gara? E cosa rivelerà nel suo svolgimento?
Non una , ma tante storie intrecciate, svolte con precisione e dettaglio; sconvolgente sin dall’inizio quando il narratore (o il protagonista, è lo stesso), ci avverte che “si muore nascendo e si vive morendo”, ma soprattutto che “le storie iniziano quando ancora non lo sai”: si arriva sempre con un tempo di ritardo alla consapevolezza, accorgendosi che esistono anche “amicizie retroattive” , si era già amici e non ce ne siamo resi conto. E di quante altre cose non ci rendiamo conto se lasciamo sul nostro cammino rapporti di tutti i tipi, da quelli amorosi a quelli parentali a quelli filiali che nel loro tornare prepotentemente a galla da un passato più o meno remoto , ci costringono a fare i conti con troppi nostri “sospesi”.
E non è forse un caso che sia in un ambito di competizione, cioè una gara (a individuare la sorgente sonora per le ricetrasmittenti, in questo caso), che si svolge la dura lotta per il chiarimento della realtà a Filippo circostante. Del resto, come ha buon gioco a dire la sua seconda compagna Loredana , grottescamente camionista di professione ma musicista bassista per hobby, in Italia ci sono solo organizzazioni che non hanno concorrenti: Mafia,Vaticano e Orchestre da balera. Quasi a dire che per evitare la “gara”, nella vita, si deve per forza entrare nei “giri loschi” di cui fa parte anche un certo tipo di musica non propriamente “colta”.
Da meccanico, Filippo intuisce il parallelismo col tempo che , se volessimo restare “puri”, non dovrebbe passare(vedi l’accenno ai “segnali di fumo” delle popolazioni indigene d’America) e le ricetrasmittenti che oggi, a confronto con gli smartphone da cui siamo ”psicodipendenti”, risultano già arcaiche , come pure i “videotel” diffusi e morti in un amen.
Ma la battaglia col tempo sembra destinata ad essere persa; forse l’unica possibilità per fermarlo è analizzare con esasperante precisione ogni elemento della realtà non in senso puramente descrittivo ma con accumulo di storie e aneddoti, di frasi ad effetto e particolari scenici , degni quasi della perfezione di uno Stanley Kubrick, dove la sinestesia tocca anche apici sibillini, come ad esempio dove si dice che “la lunghezza di un minuto si misura a seconda del lato della porta di un bagno davanti a cui si sosta”.
Ma si riesce persino ad oscillare tra estremi parafilosofanti come la considerazione un po’ banale tipica di bambinoni mal cresciuti tipo “La maggior parte delle dispute umane si basano su questioni di sesso e amore” e un appiglio al passato appartenente a una o due generazioni indietro rispetto alla nostra che nella sua evocazione fascinosa , crea immagini del tutto inaspettate. La figura della Nonna Delia che mangia “Pane e odore”, ovvero un tocco di pane esposto all’aroma emergente da un ristorante frequentato dalla gente bene della città, evidenzia il divario sociale nei suoi aspetti di riscatto; quasi evoca l’immagine del Film “Bertoldo Bertoldino e Cacasenno”, dove il re concedeva ai poveri della città dietro pegno di annusare l’odore del cibo che si preparava per la corte , ma non di mangiarlo.
E così, tra citazioni letterarie ( su tutti “Tropico del cancro”), la desolata costatazione che per quanto possiamo essere complici, ci devono per forza essere “Muri” fra un “noi” e un “loro”, l’irritazione per le “Pause” nelle frasi dei dialoghi (“chi le ha inventate le pause”?) , il tempo scorre e, cinematograficamente, ci si accorge che “la vita non ammette post produzione”. Forse il figlio, sveglio, perspicace e a volte arrogante, è l’elemento di speranza proiettato verso un futuro migliore, specialmente nella liberatoria decisione finale “A casa. Adesso si va a casa” che Filippo gli propone. Ma è certo che al termine di tanta materia narrativa non possiamo sentirci tranquillizzati. Quanta vita e a che ritmi forsennati può avere vissuto chi partorisce cotanto Tornado ‘(per citare il soprannome di uno degli amici di filippo) di esperienza? Verrebbe quasi voglia di implorare l autore di essere un po’ “Meno bravo”, di mettere meno cose, davvero un’enormità di particolari sintetizzati in una narrazione forse a tratti efficacemente irritante ma anche per questo fluida e coerente, dove sembra non mancare proprio nulla di quanto provenibile dalle varie fonti estetiche. E l’aria , che di odori e suoni è il mezzo propagatrice (sospettiamo che forse, per motivi paraconiugali, per Mercadante l’influsso sonoro sia maggiore), condensa l’essenza di una vicenda dopo il termine della quale noi riprendiamo il nostro cammino chiedendoci se davvero l’essenziale non ci sia sfuggito, fra le righe che sembrano a tratti celare più cose di quelle che, letteralmente non dicono.
Il meccanismo della vita continua. Noi, magari contro la volontà dell’autore, ci spruzziamo una passata di shampoo secco in testa, e apriamo il libro successivo.
L.M.