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“BUONANOTTE LEONE” di Marina Fedele (ed. Giacomo Morandi editore,2016)

“BUONA NOTTE LEONE” di Marina Fedele (ed.Giacomo Morandi editore, 2016)

 

Qualche tempo fa commentando l’estetica di un telegiornale della RAI si parlò di “panino”. Con tale denominazione si intendeva una modalità di informazione caratterizzata da una sorta di schema A – B – A dove “A stava per la parola affidata alle voci “governative” e “B” a quelle di opposizione, quindi con il fattuale “vantaggio” di 2 a 1 per le “controrepliche” di stampo governativo.

Chissà se lo schema del “panino” può funzionare anche per l’effetto reso da alcune opere letterarie dove , potremmo schematicamente dire, si “parte bene” per poi “cadere” e salvarsi in corner solo verso la fine dello scritto. A noi personalmente pare questo il caso del romanzo “Buonanotte leone” della scrittrice Marina Fedele. In una Italia  del dopoguerra che ancora , nonostante il boom economico, stenta a trovare una dimensione di stabilità , si susseguono le vicende di Nina, ragazzina irrequieta e ansiosa di conoscenza e di vita, affezionata al padre e allo zio che troppo presto se ne vanno dal mondo lasciandola rabbiosa (specialmente con quel Gesù che mamma e insegnanti le insegnano essere tanto buono) e persa nei suoi meandri di eterna sognatrice, poco ligia ai doveri scolastici e agli “schemi” tradizionali. Da lì comincerà il suo “viaggio di formazione”  scandito più che altro dai vari uomini che incontra sul suo percorso , e accompagnata dalla presenza reale ma allo stesso tempo simbolica del suo leone di pezza che un po’ le ricorda la sua infanzia e un po’ la conforta prima di mettersi a dormire come una sorta di coperta di Linus che anche da adulta le tiene compagnia.

Non riteniamo necessari ulteriori elementi per dare l’idea della “fabula” dell’opera, leggendo la quale poi ognuno potrà farsi la propria idea.  Ci pare invece interessante rilevare, come si accennava, una bella ambientazione iniziale evocata dalle canzoni degli anni ‘ 50 “nate per dimenticare una guerra poco lontana” e la metonimia a tinte rapide dei piedi danzanti che ne seguono il ritmo e la dinamica, mentre la colonna sonora preferita di Nina resta il valzer lento della Chapliniana “Fascination”; Il movimento artistico e leggiadro della danza si trasforma però ben presto nel movimento reale del trasferimento per lavoro del papà di Nina , che confluisce poi nel moto interiore tormentato della ragazza e delle sue vicissitudini successive. A partire da qui, la dinamica che si preannuncia interessante prende però una piega a nostro parere stanca e prevedibile, con periodi grammaticalmente molto spezzati e non molto distanti tecnicamente dai “pensierini delle elementari” e con episodi forse più interessanti nell’ambito della soap opera che non nella letteratura da romanzo. Ogni episodio è dedicato all’amore di turno ,si chiami Marco, Alessio, Diego o Alessandro, ognuno con il suo fascino e le sue beghe, nessuno che risalti o brilli per significative doti o caratteristiche, ma tutti cadenzati da una narrazione molto “tipica” e a volte frammentaria, con qualche eccesso didascalico e descrittivo (“abbastanza bene non vuol dire tantissimo” “cosa difficile ,molto difficile e più il tempo passava e più diventava difficile” e così via).

Solo verso la fine, quando anche l’ennesima avventura di coppia si rivelerà sostanzialmente un fallimento, la narrazione sembra “risollevarsi”, quando un giorno Nina viene a sapere per caso del ricovero dalla cugina Silvia, volontaria in una clinica privata, del ricovero di Marco, quell’amore impossibile o forse “impossibilitato” dalle origini causa allontanamento geografico forzato per lavoro. Marco vi si trova per una malattia rara accompagnata da una forma depressiva: il reincontro fra lui e Nina, dopo tanti anni , per la delicatezza del racconto e per l’attenzione riservata ai dettagli , alla fluidità dei sentimenti , ci sembra ciò che “riscatta” con dignità il resto del romanzo, che per il resto appare più un’occasione mancata, un tentativo un po’ goffo  di tracciare uno spaccato di vita quotidiana su un’Italia del dopoguerra su cui molto è stato detto e molto ci può essere ancora da dire , ma in merito a  cui, francamente, ci pare sia stato realizzato di meglio.

(L.M.)

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