“Senza memoria non c’è futuro”. E’ con questo spirito che dovremmo ogni giorno guardare a qualsiasi gesto quotidiano , qualunque esso sia , se vogliamo essere pienamente coerenti con la dignità di ogni nostra azione . Ma, retorica a parte, è persino banale dire che ci sono pagine di storia spesso trascurate che invece andrebbero riscoperte perché ,come diceva Mao tse Tung, da sempre è il popolo che fa la storia, anche se poi sono i padroni che ce la raccontano. Daniele Biacchessi , giornalista e scrittore, nella sua opera più recente “I CARNEFICI” , racconta con piglio cronachistico , narrativo e commosso ,l’estate di sangue del 1944, che a regime caduto ma a liberazione ancora di là da venire, macchiò l’Italia di tragedie immani tristemente passate alla storia ma forse non abbastanza raccontate; tra di esse la strage di S.Anna di Stazzema, ma anche quella, meno nota ai più, di Monte Sole o altre ancora. Tutti paesi molto isolati dove ancora oggi, come allora, esistono palesi difficoltà a vivere in contatto col mondo esterno. Ecco dunque che ci viene presentata l’ immagine calda e commovente del vecchio nonno Giuseppe, ex insegnante di storia, che in una sera di fine estate ,nella casa di famiglia sull’appennino Tosco – Emiliano, mostra al nipote Carlo alcune fotografie ingiallite dal tempo per narrare la battaglia decisiva combattuta tra occupanti tedeschi con la connivenza della Repubblica di Salò e Partigiani Italiani con l’appoggio degli “Alleati” americani.
Il “salto generazionale” pone palesi difficoltà di approccio non solo per la “diversità di mentalità”, ma anche per il differente approccio tecnologico, in cui il valore della fotografia cartacea non può comunque essere soppiantato dalle informazioni su internet che forse il nipote dà per scontato che possano superare una volta per sempre le vecchie tecniche.
Salta all’occhio la precisione della GEOGRAFIA degli eventi narrati che va di pari passo con la precisione della memoria. E’ una sorta di geografia dell’inquietudine dove ogni particolare dettaglio risulta imprescindibile, come pure l’urgenza che emerge fra le righe quando il narratore si direbbe che ricerca la pace derivante da gesti di tradizione come quelli di una preghiera ,(la religione dunque vista come conforto della memoria). Ma la memoria è un obbiettivo da difendere con le unghie e con i denti anche perché più crudeli sono i fatti più alto è il rischio che si tenda a “insabbiare” per evitare che responsabilità postume vengano a galla.
L’impresa non semplice di Biacchessi è quella di una CON – FUSIONE nel senso etimologico della parola come sinestesia, fra elementi vari. Cibo , ambiente, ricordo , elenchi di numeri e nomi quasi “telefonici” si fondono in una necessità documentaristica non sempre facile da seguire e “ritenere a mente” appunto, in una POESIA del presente e del passato. La geografia dell’inquietudine – cui si accennava prima – assume toni quasi beffardi quando la sinestesia di fonti ci conduce alla funzione qui assunta della MUSICA: ad essa spesso si dovrebbe ricorrere per un’evocazione di coraggio e conforto ; invece essa è qui rappresentata dall’organetto con cui il soldato nazista annuncia l’arrivo delle SS che poi avrebbero operato per sequestrare gli ostaggi giungendo a frotte senza pietà, massacrando nel terrore uomini donne e bambini innocenti. Le immagini forti risultano quasi al limite della sostenibilità quando ci si presenta un sacerdote che eleva al cielo il cadavere di un bimbo di pochi mesi trucidato disumanamente, per chieder una pietà che verrà criminalmente disattesa.
In effetti nella logica nazista non esiste l’umanità ma semmai la FUNZIONE: come leggiamo nel capitolo “L’orrore tra i vigneti”: “Le SS tolgono l’umanità e le assegnano una funzione. I civili sono testimoni, dunque nemici da abbattere ad ogni costo”. Qualsiasi domanda, legittima e sacrosanta, su come un uomo possa arrivare a livelli così bestiali di crudeltà può forse essere soltanto soddisfatta rifacendosi all’ipotesi che prospetta Bendetta Tobagi quando, nel suo libro “Una stella incoronata di buio” si sforza di capire le ragioni dei criminali del terrorismo negli anni ‘ 70 e che forse sono adattabili anche alla criminalità nazista: Chi si macchia di tali efferatezze è perché è sensorialmente deficitario : è come se fosse nato handicappato psichico e gli mancasse ,(anziché uno dei cinque sensi come la vista l’udito o un anche un arto), l’umanità dei sentimenti. Non ce l’hanno e non possono capire la pietà e la solidarietà umana : torturare e uccidere è per loro cosa normale , come eseguire dei semplici ordini d’ufficio.
La beffa finale arriva quando ,a distanza di anni e a processi tardivamente compiuti, chi è colpevole o non paga perché già morto o sconta pene tutto sommato lievi rispetto alla inqualificabile disumanità di gesti che mai potranno essere perdonati e per cui non si potrebbe mai pagare abbastanza. O peggio arrivano indulti da personalità da cui ci si aspetterebbe forse qualcos’altro che un gesto di “clemenza” per crimini così efferati. Purtroppo a prevalere è una non meglio precisata “ragion di stato” in nome della quale si occultano prove e indizi che potrebbero risultare decisivi per fare almeno luce su questi tragici eventi. Emblematico è l’episodio dell’”armadio della vergogna” che si scoprirà soltanto nel 1994 e solo grazie alla tenacia di un magistrato coraggioso e caparbio (Antonino Intelisano), impegnato nel processo contro il capitano delle SS Erich Priebke. Dopo molti anni emergono alcune verità storiche mai del tutto affrontate, ma ci si rifiuta di dare corso alla scoperta delle responsabilità politiche anche della classe italiana, più preoccupata di dispensare “indulti in nome della pacificazione” (cioè in nome dell’IMPUNITA’) che di arrivare alla verità ultima degli eventi.
Come cantava De Gregori “LA sera scende come un’emergenza sulla città”. Qui invece il messaggio finale nell’ultima immagine di nonno e nipote, si direbbe che l’emergenza è rappresentata dalla SPERANZA nascente dalla consapevolezza che a sua volta solo dalla memoria può essere partorita , perché “nulla vada mai disperso e dimenticato”. Perché quel “paese della vergogna” , già decantato da Biacchessi, possa almeno in parte salvarsi da quell’omertà che pare essere una delle sue caratteristiche fondamentali forse addirittura da prima della sua nascita ufficiale. Perché se è vero che le piccole storie del piccolo popolo sono la voce viva di una storia, che allora questa “piccola storia” sia una storia di vita e non di morte.
(L.M.)