E’ un azzardo. E’ un azzardo provare a scrivere un commento su una storia così delicata, profonda e agghiacciante. E’ sempre un azzardo qualsiasi tentativo di descrivere ,razionalizzare, “poeticizzare” o anche solo “entrare dentro” una vicenda così gigantesca nella sua “piccola dimensione”. E’ un rischio che si può correre solo se si lascia che il cuore faccia prevalere le sue ragioni , o meglio la sua urgenza . Roberta Nicolò accetta di lasciarci entrare nella sua storia di violenza subita da bambina e poi con le logiche difficoltà del caso elaborata in maniera molto graduale nel corso degli anni.
Viene alla mente il titolo un film del 1994 di Alessandro D’Alatri “SENZA PELLE”. Ecco è proprio senza il filtro di una pelle che fungerebbe da scudo protettivo che si può vivere appieno il significato profondo di una storia così. Questa “bambina” viene fatta emergere dal passato nel vortice silenzioso dei ricordi della donna che ora è essa stessa nel frattempo diventata. La vicenda peraltro era già stata raccontata come fatto di cronaca dai giornali dell’epoca che avevano riportato la stessa dopo l’esito del processo per abuso sessuale di minori nei confronti dell’uomo accusato e condannato in merito. Ora però è il turno della protagonista suo malgrado che la racconta in forma di racconto anomalo.
L’elemento che risalta è la scelta di raccontare la sequenza delle tappe di rielaborazione progressiva in ordine sparso, senza seguire l’ordine temporale. Quasi fosse una tempesta di sensazioni che non sono logicamente riordinabili. Del resto è lei stessa a ricordarci che la verità , oltre a rendere liberi, ha bisogno di SPAZIO, più che di tempo. Il tempo c’è ma è una dimensione che qui va dilatata, rivoltata, senza dettami logici. C’è bisogno più che altro di sinestesia , di far combaciare i dettami dei vari sensi . La protagonista rileva che le cose “quasi mai si vivono sul serio”; e una vicenda forte come questa rappresenta l’occasione per “concederselo”.
Roberta “parte” dalla fine del tempo della narrazione (i suoi 43 anni) per arrivare al “prologo” ; paradossalmente questi due punti coincidono con la consapevolezza e l’elaborazione del lutto, come a indicare un cerchio che si chiude , una sorta di “morte e rinascita” che si è ora compiuta e dove la vita piena della protagonista può ora proseguire nella sua pienezza proprio perché si elabora ma non si può dimenticare, non si deve dimenticare. Ma anche qui c’è un paradosso, che emerge negli attimi in cui la “bambina” del passato non vuole ricordare, e i continui black out della memoria intervengono come un’emergenza a salvarla dal baratro dell’orrore, mentre le circostanze sinestetiche arrivano come avvoltoi a farle riemergere quell’unico inesorabile momento della sua storia che pesantemente la ha condizionata; Si tratti di un odore di pavimento a linoleum o due innamorati che si baciano nella loro innocenza sotto un albero, tutto concorre a “non risolvere”. E anche “nascondersi” diventa una facile forma di rifugio, quando per luogo di riparo si intendano i momenti di gioco svago e confidenza con gli amici; Ma è un “nascondersi “ solo apparente, se i “lampi” del passato riaffiorano a ogni piè sospinto. Il titolo di un altro film italiano del 2005 di Marco Tullio Giordana è rivelatore in questo senso “Quando sei nato non puoi più nasconderti”. In un percorso simile i momenti di sport di difesa personale assumono una funzione di vera e propria educazione civica, nel momento in cui i sensi che da un lato sono la causa di tormento per la bambina, dall’altro vengono “rifunzionalizzati” nell’ obiettivo ultimo della conoscenza dell’altro come avversario da combattere ma anche come semplice interlocutore da affrontare; ecco che dunque la direzione dello sguardo, le tecniche di respirazione e di propriocezione portate al massimo, come anche nel teatro (non a caso si parla di “imparare per imitazione”, come in parte si può e si deve fare nelle discipline teatrali), risultano l’arma vincente per affermarsi e VINCERE non solo o non necessariamente sull’altro ma più che altro per se stessi. “QUI ED ORA e senza guardarsi indietro ma solo avanti”.
La tecnica narrativa inconsueta assume tratti estremi quando ogni singolo vocabolo è separato da un punto anche all’interno di una frase. La forza e la perentorietà del riscatto della protagonista vengono così a trionfare anche nella semantica . E come lettori si è chiamati ad una prova di forza grandissima quando , man mano che si percepisce che ci stiamo avvicinando al momento decisivo e rivelatorio , la narrazione diventa quasi insostenibile; è il momento del flash in cui la bambina qui donna , descrive una scena strana, come in un sogno , protagonista un cantante rapper forse qui immaginato all’interno di una scena virtuale , in atteggiamenti di difesa e di lotta. Da questa scena onirica e sconnessa arriviamo alla ricostruzione finale del “fatto”, che viene finalmente descritto nella sua chiarezza. E qui l’articolo di giornale d’epoca giunge come una liberazione, un soccorso , una necessità di realtà cronachistica dopo tanto vagare per intuizione da parte del lettore nei meandri della memoria della narratrice.
Con che diritto si può aggiungere parole di commento a una vicenda ? Quello che ognuno può imparare lo può solo custodire nell’intimo; L’unico vocabolo appropriato è imparare. Addirittura come la protagonista suggerisce possiamo imparare a piangere. Ci sono molti modi per piangere. Lo si può fare da soli ma forse è giusto , come diceva Giorgio Gaber , “tornare fra gli uomini anche per piangere”. Torna pure fra gli uomini, bambina. Ora lo sai anche tu che nulla ti può far male. E se noi impariamo questo ,che è il prezioso insegnamento che tu ci dai, non hai più nulla da temere. L’eventuale paura che la tua vicenda ci può fare, la affronteremo insieme. Solo allora e solo nell’intimo , nell’ombra, il NOSTRO piccolo mondo può magicamente trasformarsi e rigenerarsi.
(L.M.)