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Paolo Pasi: “SACCO E VANZETTI – LA SALVEZZA E’ ALTROVE” (Elèuthera, 2023).

Paolo Pasi : SACCO E VANZEETTI – LA Salvezza è altrove (ed Elèuthera- 2023)

 

“Altrove”. E’ un avverbio che può significare tante cose. Una fuga o una ricerca. O più semplicemente una speranza. Che non è necessariamente una ricerca di una vita in un “paradiso” che poi magari nemmeno esiste, anzi: una vita terrena più equa per l’intera umanità. E’ la sostanza del sogno anarchico, nel senso più nobile del termine , che ricerca la cessazione dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo e giustizia nella libertà .

Paolo Pasi, scrittore e giornalista, racconta così nel suo stile la storia degli anarchici Sacco e Vanzetti, vicenda che scosse un secolo fa gli animi di tutto il mondo per il grottesco e assurdo iter giudiziario che lasciò trapelare palesemente l’intenzione da parte della “giustizia” americana, di  far fuori ad ogni costo due innocenti solo perché ritenuti pericolosi per le loro idee e perché emigrati in terra straniera.

La vicenda è nota. E’ il modo teatrale e “scenico” di raccontarle che fa la differenza. Ma non solo. Nella sua sensibilità di narratore per vocazione e “cronachista” per destino, Pasi utilizza frasi rapide, spezzate, che indugiano sui particolari scenici ma anche sulla psicologia degli affetti; anzi sono proprio questi ultimi che sembrano prevalere spesso sulla vicenda puramente politica e simbolica. Passo dopo passo, seguiamo le vicende dei due protagonisti dall’infanzia, all’impegno politico fino all’emigrazione e all’arresto; la psicologia non fa sconti e noi entriamo insieme alla voce narrante resa come un reportage quasi in presa diretta, nei sentieri che conducono “in fuga dall’economia di guerra” , ma senza mai “abbracciare” un lavoro definitivo (anche la scelta dei termini è insolita e inducente alla riflessione sul senso ultimo dei gesti). Si lambisce più volte la caduta nella follia come rifugio inevitabile dalle conseguenze psichiche del dover subire un iter giudiziario chiaramente farsesco , nonostante i sempre più palesi indizi che portano all’evidenza dell’innocenza.

Pazzesca la descrizione dello scenario dell’esecuzione che apre e chiude la narrazione: la sedia al centro del palco e l’allestimento scenografico, mentre fuori qualcuno aspetta ciò che deve accadere. Sembra il corrispettivo tragico del moderno voyeurismo mediatico che subdolamente gode del patimento del mostro in carcere o sotto i riflettori. Ma qui no. Qui si grida al complotto e all’infamità. La “scena” è per fortuna lontana dai media allora limitati ai giornali o alla radio, ma purtroppo si sa bene cosa accade. Si uccide perché si teme un’idea di uguaglianza. E i boia giudiziari agiscono con “spregiudicata coerenza” mentre l’America, vista come Eden di riscatto, ora “si dissolve come una bolla”.

In tutto questo, a salvare dall’ impazzimento , per i due condannati, ci sono il conforto degli affetti che vengono sempre teneramente descritti tramite i dialoghi e le lettere che i due detenuti scambiano con i familiari e i compagni di lotte. E poi c’è l’ Arte. Essa sì, può sublimare la pazzia e la noia. Vanzetti scrive poesie, traduce dall’inglese alcuni opuscoli. E’ ,banalmente, un modo di tenersi occupati, di tenere allenata e viva la mente. E l’arte è sempre comunque presente anche fra le righe. Pasi, anche musicista e cantautore, nomina le “Vette musicali dell’istante”, che Sacco non riesce a toccare perché “assediato” dalla solitudine. (qui torna alla mente Piero Ciampi “L’ assenza è un assedio). Assenza di libertà che la solidarietà a livello mondiale non basta a lenire.

Dove si può recuperare la “salute” intesa in senso lato, come sanità mentale, psicologica ma anche solamente “logica”, in tutto questo?

“LA SALUTE E’ IN VOI” afferma Vanzetti nel suo ultimo discorso prima di essere giustiziato. Frase che suona come un “arrivederci”, come un sussulto di speranza che può solo riguardare il futuro: è quel “contraddittorio” che troppo spesso viene banalmente evocato come voglia di ribattere a chi non la pensa come noi, e che invece è quella libertà di pensiero che ognuno, mettendosi faccia a faccia con la propria coscienza , potrà salvaguardare per giudicare il tipo di azione commesso su due innocenti. Nell’ultimo dialogo con la sorella, Bartolomeo- “Tumlin” come viene affettuosamente chiamato-, parla trascendendo il regolamento carcerario perché – ultimo paradosso – “adesso non è il momento delle regole”. Proprio un anarchico , che contro le “regole dello Stato” comunemente inteso, lotta convintamente, può ora trovare uno spiraglio di quella libertà senza regole “anarchica”, appunto, che forse domani arriverà o tornerà per l’Uomo.

(L.M.)

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